Stalle e buoi

Interessante articolo su Rolling Stones del diciannove giugno, segnalato da Stefano, riguardante il declino delle case discografiche. Ne riporto la traduzione integrale:

Per l’industria della musica è stata una delle poche buone notizie: il nuovo album dei Linkin Park ha venduto seicentoventitremila copie nella prima settimana di maggio, il più forte debutto di quest’anno. Ma non è stato sufficiente. Nello stesso mese la casa discografica Warner Music Group ha annunciato che licenzierà quattrocento persone, ed il suo titolo in Borsa è sceso al cinquantotto percento del valore massimo, raggiunto lo scorso giugno.

La vendita di CD è precipitata quest’anno del sedici percento, dopo sette anni di quasi costante erosione. Di fronte al diffondersi della pirateria, alla crescente preferenza dei consumatori verso i singoli brani digitali, con bassi profitti, invece degli album, e altre disgrazie, il mercato del disco è precipitato in un declino storico.

Le Majors si sforzano di reinventare il business, anche se qualcuno teme sia troppo tardi. "Il mercato del disco è morto" dice Peter Paterno, che rappresenta i Metallica e Dr.Dre. "Le case discografiche hanno capitali fantastici, ma non riescono a ricavare alcun soldo da questi." Una fonte dell’industra musicale, che vuole rimanere anonima, ha aggiunto "Qui abbiamo un mercato che sta morendo. Molto presto non avremo più alcuna grossa etichetta."

"Nel duemila i consumatori degli Stati Uniti comprarono settecentoottantacinque milioni di albums; l’anno scorso, secondo la Nielsen SoundScan, ne comprarono cinquecentoottantotto milioni (un numero che include sia i CD che gli album scaricati in formato digitale). Nel duemila i dieci album più venduti negli Stati Uniti totalizzarono sessanta milioni di copie; nel duemilasei il totale fu di venticinque milioni di copie vendute. Le vendite in formato digitale stanno aumentando, gli appassionati comprarono l’anno scorso cinquecentoottantadue milioni di brani digitali, un aumento del sessantacinque percento dal duemilacinque, e acquistarono suonerie per un valore di seicento milioni di dollari.

Le case discografiche hanno licenziato più di cinquemila persone dal duemila. Il numero delle grosse etichette è sceso da cinque a quattro, dopo la fusione del duemilaquattro tra Sony Music Entertainment e BMG Entertainment, e due delle rimanenti aziende, EMI e Warner, sono state vicine alla fusione per anni.

Secondo l’isitituto di ricerche Almighty Institute of Music Retail, dal duemilatre negli Stati Uniti circa duemilasettecento negozi di dischi hanno chiuso. Lo scorso anno la catena Tower Records, che con i suoi ottantanove negozi rappresenta il due virgola cinque percento della vendita al dettaglio, ha cessato l’attività, e Musicland, che opera in più di ottocento negozi sotto il marchio Sam Goody, è fallita. Oggi circa il sessantacinque percento delle vendite di musica avviene in centri commerciali come Wal-Mart e Best Buy, che tengono meno titoli dei negozi specializzati e impiegano minori risorse per la promozione di nuovi artisti.

Solo pochi anni fa molti dirigenti di industrie discografiche pensavano di poter risolvere i loro problemi con brani di successo. "Per queste persone non c’era niente che un buon successo non avrebbe potuto risolvere" dice una fonte che ha lavorato a stretto contatto con questi dirigenti nell’ultimo decennio. "Loro sentivano che le cose andavano male e stavano peggiorando, ma non sono sicuro che avessero l’apertura mentale per capire come risolvere la situazione. Oggi molto pochi di questi dirigenti sono ancora a capo delle loro aziende."

Ora un numero maggiore di dirigenti discografici sembra capire che i problemi sono strutturali: Internet sembra essere, per il mercato della musica, lo sbocco tecnologico più naturale dal millenovecentoventi, quando il fonografo, come centro di profitto dell’industria, rimpiazzò i nastri fonografici. "Noi tutti abbiamo compreso che i tempi sono cambiati" dice Lyor Cohen, direttore generale della Warner Music Group. A giugno la Warner ha annunciato un accordo con il sito internet Lala.com che permetterà agli utenti di ascoltare gratuitamente gran parte del suo catalogo, nella speranza che poi questi paghino per scaricare i brani. È l’ultima delle recenti mosse delle Major, che solo pochi anni fa sarebbero state impensabili:

  • A maggio una delle quattro maggiori etichette, la EMI, autorizza la vendita dei brani del suo catalogo senza protezione dalla copia, sulla quale tutte le etichette hanno insistito per anni, presso gli iTunes Music Store
  • Quando YouTube rende disponibili video musicali senza permesso, tutte e quattro le etichette concludono degli accordi di licenza anzichè fare causa per violazione del copyright
  • Nonostante il timore di alcuni artisti e agenti, le etichette insitono per stringere accordi con molti artisti che garantiscano alle aziende una parte dei proventi di concerti, articoli promozionali, pubblicità e altre entrate non discografiche

Quindi, chi ha ucciso l’industria discografica così come noi la conosciamo? "Le case discografiche hanno creato questa situazione con le loro mani" dice Simon Wright, direttore generale della Virgin Entertainment Group, che gestisce i Virgin Megastores. Anche se ci sono fattori al di fuori del controllo delle etichette, dalla crescita di Internet alla popolarità di videogames e DVD, molti nell’industria discografica vedono gli ultimi sette anni come un serie opportunità mancate. E tra le più grosse, dicono, fu il fallimento delle etichette nell’indirizzare la pirateria online ai suoi inizi, facendo pace con il primo servizio di file-sharing, Napster. "Spesero miliardi di dollari per fare causa a Napster, e quello fu il momento in cui le etichette si suicidarono" dice Jeff Kwatinetz, direttore generale della Firm "Il mercato discografico ebbe un’incredibile opportunità allora. Stavano tutti usando lo stesso servizio. Era come se stessero ascoltando tutti la stessa radio. Poi Napster chiuse, e quei trenta o quaranta milioni di persone se ne andarono da altri [servizi di file-sharing]"

Avrebbe potuto essere diverso: sette anni fa i manager dell’industria musicale tennero colloqui segreti con il direttore di Napster, Hank Barry. Nell’incontro del quindici luglio duemila, organizzato nella Sun Valley in Idaho, alcuni manager, tra cui il direttore della Universal, Edgar Bronfman Jr., il capo della Sony Nobuyuki Idei e il capo della Bertelsmann, Thomas Middelhof, dissero a Barry che volevano chiudere un accordo di licenza con Napster. "Il signor Idei iniziò il meeting" ricorda Barry, oggi uno dei direttori dello studio legale Howard Rice. "Lui discusse di come Napster fosse qualcosa che i consumatori volevano."

L’idea era di lasciare che i trentotto milioni di utenti di Napster continuassero a scaricare dal sito pagando un abbonamento mensile (circa dieci dollari), e dividere i guadagni tra Napster e le etichette. Ma in ultimo, nonostante un’offerta pubblica di Napster da un miliardo di dollari, le parti non raggiunsero un’accordo. "Le case discografiche dovevano fare il salto, ma non ne ebbero il coraggio." dice Hilary Rosen, che era allora direttore generale della Recording Industry Association of America. "Molti dicono, ‘Le etichette erano dinosauri idioti, qual’era il loro problema?’ Ma avevano i dettaglianti che dicevano loro, ‘È meglio non vendere tramite internet a prezzo inferiore che in negozio.’ e artisti che dicevano, ‘Non rovinare le mie vendite da Wal-Mart.’" Aggiunge Jim Guerinot, agente dei Nine Inch Nails e di Gwen Stefani, "Innovazione significava cannibalizzare il loro mercato principale."

Quello che è peggio, queste aziende aspettarono due anni prima di autorizzare un’alternativa usabile e legale ai servizi illegali di file-sharing: : Apple’s iTunes Music Store, che fu lanciato nella primavera del duemilatre. Prima di allora le etichette avviarono alcuni servizi a pagamento: PressPlay, che all’inizio offriva solo pezzi di Sony, Universal e EMI, e MusicNet, che aveva solo brani di EMI, Warner e BMG. I servizi fallirono. Erano troppo cari, permettevano una masterizzazione parziale o nulla, e i brani non funzionavano su molti lettori MP3 allora in commercio.

Rosen a altri vedono il periodo dal duemilauno al duemilatre come disastroso per il mercato. "Quello fu il momento in cui perdemmo gli utenti," dice Rosen. "Il Peer-to-peer prese quota. Fino ad allora la musica aveva un valore reale nella mente della gente, ma da quel periodo non ebbe più valore economico, solo emotivo."

Nell’autunno del duemilatre, la RIAA iniziò la sua prima azione legale contro gli utenti di file-sharing per infrazione del copyright. Da allora hanno fatto causa a più di ventimila appassionati di musica. La RIAA sostiene che le azioni legali erano tese a far sapere che scaricare musica senza autorizzazione poteva avere conseguenze. "Non è stato fatto con intenzioni punitive", dice il direttore della RIAA, Mitch Bainwol. Ma il file-sharing non è scomparso; gli utenti dei programmi Peer-to-Peer sono aumentati più del quattro percento nel duemilasei, con circa un miliardo di brani scaricati illegalmente ogni mese, secondo una ricerca di BigChampagne.

Nonostante i rovesci dell’industria, la gente non ha mai ascoltato tanta musica come oggi. I consumatori hanno acquistato più di cento milioni di Ipod dalla sua uscita nel novembre duemilauno, e il mercato dei concerti è florido, con un guadagno di quattrocentotrentasette miliardi di dollari l’anno scorso. E secondo la società di ricerche NPD Group, l’ascolto di brani musicali è in continuo aumento dal duemiladue. Il problema del mercato attuale è come trasformare questo interesse in soldi. "Come è possibile che i produttori di musica stiano fallendo, mentre l’utilizzo del prodotto è alle stelle?" domanda Kwatinetz della Firm. "È il modello a essere sbagliato."

Kwatinetz vede altre aziende più piccole entrare nel mercato, da agenzie come la sua che raddopiano e diventano etichette, fino ad outsider come Starbucks. Paul McCartney ha recentemente abbandonato la sua lunga relazione con la EMI Records per firmare un contratto con i novellini della Hear Music di Starbucks. Anche il gigante dei videogiochi Electronic Arts ha fondato un’etichetta, sfruttando la capacità promozionale dei suoi giochi, e la rinata CBS Records venderà la musica degli spettacoli trasmessi dalla CBS TV.

La vendita di diritti delle musiche per videogiochi, film, spettacoli televisivi e servizi internet sta diventando una fonte di reddito in continua crescita. "Noi prevediamo di diventare un’organizzazione per la vendita dei diritti" dice Cohen della Warner, che in maggio ha inaugurato una nuova divisione, Den of Thieves, dedicata alla produzione di spettacoli televisivi e altri contenuti video prodotti con il loro patrimonio musicale. E le case discografiche si aspettano un aumento delle loro entrate dal crescente mercato dell’editoria musicale, che raccoglie i diritti da radio e altre fonti. L’ASCAP, che si occupa dei diritti nei concerti, ha registrato un profitto record di settecentoottantacinque milioni di dollari nel duemilasei, un aumento del cinque percento dal duemilacinque. I profitti sono "straripati" secondo Martin Bandier, direttore generale della Sony/ATV Music Publishing, che controlla le pubblicazioni dei Beatles. "L’editoria musicale diventerà una componente sempre più importante del mercato," dice. "Se lavorassi per una casa discografica, mi strapperei i capelli dalla testa. Il mercato del disco è nella totale confusione, e cerca un via d’uscita."

In ogni angolo dell’industria discografica si sente la sofferenza. "Un grosso settore dell’America è stato enormemente danneggiato," dice Bainwool della RIAA, che incolpa la pirateria, "dai compositori, ai musicisti fino ai dipendenti delle etichette musicali. Il numero di gruppi che hanno firmato con le etichette è stato severamente ridotto, circa un terzo."

I tempi sono duri per i dipendenti delle case discografiche. "La gente si sente minacciata," dice Rosen. "I loro amici sono licenziati a destra e a manca." Adam Shore, general manger della Vice Records, allora affiliata alla Atlantic Records, a gennaio ha detto a Rolling Stone che i suoi colleghi stavano attraversando una crisi esistenziale. "Noi abbiamo bei pezzi, ma siamo meno sicuri che mai che la gente li comprerà." dice. "C’è in giro un senso di sfiducia"

Autori: Brian Hiatt e Evan Serpick

Commenti

2 risposte a “Stalle e buoi”

  1. […] una buona opportunità, e chi saprà coglierla potrà sopravvivere al cambio epocale che sembra avvenire nel business […]

  2. […] le recenti vicende sull’uso delle tecniche di DRM in campo musicale hanno dimostrato che queste tecniche sono […]

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