In piazza Duomo a Monza vengo fermato da un ragazzo nero che vende: lui vende libri. Al primo momento alzo la mano in segno di diniego, poi lui sorride. Quando sorridono io non riesco a resistere, caccio la mano in tasca e allungo cinque euro, lui in cambio mi sventaglia davanti alcuni libretto colorati e io ne scelgo uno, quasi come in un gioco di prestigio. Non ricordo più dove lessi che non siamo noi a scegliere i libri, ma sono i libri che ci scelgono; personalmente mi è già successo di essere scelto dai libri, come questa volta. Dalle Colline le strade rosse del Rwanda racconta l’esperienza di una psicologa di Medici Senza Frontiere nel paese del genocidio a dieci anni dai tragici fatti.
Avevo già sentito del massacro perpetrato nel millenovecentonovantaquattro in quel piccolo paese africano per motivi “etnici“, questo era quello che ci dissero, ma non mi ero mai soffermato a pensare cosa questo significasse in realtà. Come si può immaginare il massacro sistematico di un’etnia? In tre mesi, dal sette aprile al quattro luglio, ottocentomila dei sei milioni di abitanti del Rwanda fu ammazzata con metodi raccapriccianti, la maggior parte con machete acquistati in grandi quantità grazie a finanziamenti francesi.
Durante questi tre mesi la comunità internazionale stette a guardare, inerme, ed intervenne solamente quando ormai il lavoro era quasi fatto, quando in alcune regioni tra l’ottanta ed il novanta per cento della popolazione tutsi non c’era più. Il generale dell’UNAMIR Roméo Dallair lanciò segnali d’allarme mesi prima, ma gli fu sempre proibito di intervenire. Come disse George W. Bush durante la sua campagna presidenziale nel gennaio del duemila l’area era “al di fuori dei nostri interessi strategici“, e quindi nessuno mosse un dito per impedire questo ennesimo olocausto.
Uccidere con il machete non è cosa facile, ci vuole forza e bisogna essere in tanti, e una tale moltitudine non può semplicemente sparire. Difatti Tita si trova ogni giorno alle prese con sopravvissuti, per lo più donne violentate e infettate dall’AIDS, che sono costrette a convivere con vicini di casa, colleghi di lavoro o autisti di autobus che gli hanno sterminato la famiglia, costringendo i loro cari a morti atroci. E la scoperta più sconvolgente è che il diavolo non ha zoccoli e corna, non è rosso né puzza di zolfo. Il diavolo ha il tuo stesso aspetto, prova i tuoi stessi sentimenti, sa essere gentile e simpatico come te: il diavolo sei tu! E se non saprai sorvegliare il tuo diavolo esso rinascerà, come già tante volte in passato è avvenuto.
Se un domani in piazza, a Monza o altrove, trovate un ragazzo nero che vende provate ad allungargli qualcosa, potreste anche voi trovare qualcosa che vi sta cercando da molto tempo.
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