Learco si trova all’ospedale, reduce da un incidente stradale in cui ha riportato ustioni gravi su gran parte del corpo. Eppure nel racconto della sua degenza e successiva convalescenza, raccontata da Paolo Nori in Grandi ustionati, non vi è tragedia. Con uno stile che sorprende, tutto in sospensione, l’autore ci descrive il mondo stralunato di Learco, in un’ospedale “carnacialesco” dove tutto funziona al contrario, e poi in una improbabile realtà.
Quando si rimane gravemente ustionati il corpo ha bisogno di tempo per riprendersi. In questo romanzo autobiografico Paolo ha voluto descrivere questo tempo dell’attesa, quasi una seconda dolorosa rinascita.
Ma la cosa più brutta, di cadere giù per le scale, non è quando prendi la botta che ti fa male, la cosa più brutta è il momento che te sei per aria, le gambe in avanti, ti rendi conto la botta, è questione di poco, sta per arrivare.
Tutto il libro sembra sforzarsi di descrivere quell’attimo, e ne esce un racconto in levare, che ti costringe a trattenere costantemente il respiro, nell’attesa del prossimo battito che arriva quando non te l’aspetti. Una continua caduta che non tocca mai terra. E la gallina fischiona, Miasma, gli scrittori russi e il Foscolo incatenato sembrano tutti attori stupiti nel ritrovarsi loro stessi spettatori di questa continua attesa.
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