Attorno e dentro la cittadella industriale dove mi trovo ruota ovviamente quasi tutta l’economia locale. In paese abbondano i negozi di specialità meccaniche e tecniche e fuori dai cancelli delle raffinerie è un continuo via vai di sfaccendati in cerca di occupazione o occupati in piccoli commerci.
Mi è capitato diverse volte di girare i negozietti e le officine locali in cerca di qualche parte mancante o danneggiata; tra case che sembrano appena uscite da un bombardamento si trovano spelonche al cui confronto la caverna di Barbablù sembra un Disney Store, da cui escono come prodotti di artigianato guarnizioni, adattatori o parti meccaniche impossibili da trovare altrove.
Le regole del traffico sono in gran parte affidate al (poco) buon senso degli autisti locali, raramente frenati dalla poca polizia circolante. Per gli stranieri quindi la guida in mezzo a questo bailamme sarebbe proibitiva, ragion per cui vengono accompagnati al lavoro da autisti locali con vari mezzi: pullman antidiluviani per la truppa o auto più o meno moderne per gli ufficiali, tra i quali sono anche io.
Durante la nostra permanenza si sono scambiati più o meno regolarmente al nostro servizio tre autisti, Mahjid, Mohammed e Alì. Tre iraniani, tre vite al momento legate a questo luogo e a queste raffinerie ma con il desiderio di essere altrove e in un’altro momento. Mahjid è quello che abbiamo conosciuto meno, sia perchè è stato poco con noi, sia perchè era il più riservato, quasi altero; mi rimane in mente la sua espressione tra lo stupito ed il risentito quando lo riprendevamo per i suoi cronici ritardi.
Mohammed ha diciannove anni, l’età di mia figlia, e un sogno: fare il professore di biologia. Una delle prime cose che ci disse quando lo abbiamo conosciuto è stata “Io non sono un autista, io sono un professore di biologia!” In Iran gli studenti completano la scuola superiore a diciassette anni e poi passano all’università. Mohammed deve frequentare il secondo anno del corso di biologia a Shiraz e per guadagnare qualche soldo durante le ferie estive lavora come autista per la GS E&C in questo angolo di inferno.
Lavoro non facile: gli autisti devono avere un’auto propria, logicamente decente, se la devono mantenere e in più con il salario che ricevono devono anche pagare la benzina. Mohammed ci dice che circa la metà dei cinquecento dollari della sua paga se ne vanno in benzina, nonostante questa in Iran costi circa trenta centesimi di euro al litro. Alì si lamenta sempre che i prezzi sono in continua ascesa; a tutte le ore lo senti ripetere come una giaculatoria di come il prezzo del riso l’anno scorso fosse la metà, di come sia aumentato il pane, di quanto costano le automobili oggi rispetto a pochi anni fa, e va avanti così fino a che qualcuno non gli dice di piantarla.
Alì ha quarantatre anni, una moglie, una figlia di quattordici anni e due figli di quattro e otto anni ma sembra più ragazzino di Mohammed. Vuole sempre apparire furbo ma alla fine finisce bastonato. Giorni fa si infilò come una furia in contromano per una strada all’interno della raffineria che a causa di lavori era a senso unico. Quando girò vidi venirci incontro un fuoristrada gigantesco e cercai di avvisarlo: “no problem” è stato il suo salomonico commento. Logicamente quando arrivammo uno di fronte all’altro e constatò che non ci si passava dovette fare marcia indietro fino a dove era partito; in aggiunta il passaggero sul fuoristrada era uno dei manager della raffineria, il quale chiamò una guardia e gli fece ritirare il permesso di guida in impianto. Glielo resero dopo poco ma per quel giorno non si azzardò più ad imboccare il senso unico, nemmeno quando a mezzogiorno la raffineria era deserta per la pausa pranzo. Comunque è durato solo un giorno.
Mohammed è più istruito e con lui puoi parlare di economia e politica. Entrambi, come la maggior parte di quelli che ho conosciuto qui, odiano Ahmadinejad, ma Mohammed parla di sviluppo economico e progresso mentre Alì ricorda le feste e le sbornie che si poteva fare quando abitava a Dubai. Alì è emigrato negli Emirati Arabi assieme ai genitori, forse a causa della rivoluzione islamica, ma a quanto ho capito deve averne combinata una troppo grossa mentre era ubriaco al volante, e gli hanno ritirato il permesso di soggiorno. La moglie di Alì insegna a Shiraz ai ragazzi dai dieci anni in su, e deve essere una santa donna per sopportare questo marito bambino che ne combina peggio di Bertoldo. L’altro giorno quando ha fatto il guaio era sovraeccitato e mi ha detto che deve andare a casa il prima possibile per “discharge”.
Lascia un commento