Come forse avrete capito dai post precedenti mi trovo in una zona altamente industrializzata dell’Iran, in cui diverse decine di migliaia di persone di tutte le nazionalità sono impegnate nella costruzione di una serie di raffinerie di gas naturale. La cronaca quotidiana può apparire un poco strana, ma dopo un po’ ci si fa quasi l’abitudine, specialmente se si conosce un poco la mentalità delle controparti, nel mio caso coreani e iraniani.
Potendo sceglierei volentieri i secondi, forse perchè, come dicono sempre loro, sono ariani come noi. I coreani forse hanno una mentalità troppo diversa, certe volte mi sembra proprio di non capirli. A dire la verità fino ad ora abbiamo trovato da ridire con una sola persona, iraniana. Il collega che mi aiuta lo aveva ripreso perchè voleva fare di testa sua e questo ha cercato di aggredirlo urlando che non possiamo comandare a casa loro. Spero che a quest’ora l’abbiano già diretto altrove.
Abbiamo impiegato tre giorni per avere sette o-ring che erano disponibili nella raffineria vicina. Dopo due giorni passati a girare come trottole tra uffici diversi, finalmente troviamo una persona che sembra sapere di cosa parliamo. Dopo averlo convinto praticamente a forza a rinunciare allo shopping del giovedì con la moglie siamo andati al magazzino per scoprire che il magazziniere se ne era appena andato. Il giorno dopo siamo tornati sul luogo, il magazziniere ci ha fatti entrare, ci ha fatto vedere gli o-rings e li ha rimessi via: mancava ancora la richiesta ufficiale. Finalmente all’alba del terzo giorno avevamo la richiesta firmata, ma dato che non c’erano tutte le cose a posto siamo dovuti uscire come dei ladri nascondendo la refurtiva sotto la giacca 🙁
Oltre a tutto dovete pensare che girare a questo modo con questo clima tropicale è una mazzata. L’umidità è pazzesca, se non bastassero i 54°C di massima a stroncare le gambe. Da quando sono arrivato abbiamo fatto turni di 14 ore al giorno per spingere verso la conclusione. Fortunatamente la cosa ha dato buoni risultati, ma il mio quoziente intellettivo è ridotto ai minimi termini a causa della fatica.
Oltre agli indigeni mi trovo in compagnia di coreani, indiani, pachistani, filppini e persino brasiliani, ma le nazionalità presenti qui sono molte di più. Questa babilonia si trova stanziata su una amena costa dove quindici anni fa passava si e no una macchina al giorno, mentre oggi nelle ore di punta sembra di essere in tangenziale a Milano. Oltre alle tre raffinerie già in funzione, che occupano circa cinque chilometri di costa, ce ne sono altre tre in costruzione, ognuna con circa quidicimila persone occupate. Durante i cambi turno i giganteschi svincoli costruiti diventano caroselli per automezzi con l’età media di mio nonno, mentre nelle restanti ore del giorno appaiono desolatamente vuoti.
Una fragorosa assenza è costituita dall’universo femminile, qui praticamente assente. Qualche donna si trova negli uffici degli impianti in funzione, ma non mi è capitato di incontrarne alcuna sui cantieri. Sembra proprio di trovarsi nel paradiso (o nell’inferno) del mondo produttivo maschile. Per intenderci quello che sta portando oggi il mondo al collasso: sprechi colossali assieme a colossali ingiustizie e paranoie assurde tipo la fissa di voler ad ogni costo raggiungere l’obiettivo.
Vi terrò aggiornati…
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