Avevo forse quattordici anni la prima volta che lessi i Racconti di Poe, e rimasi subito colpito dalla chiarezza matematica con cui le cose più terribili venivano raccontate. Edgar Allan Poe, il genio precoce, lo scrittore folle con la moglie bambina, racconta i nostri incubi con la stessa analitica precisione con cui lo scienziato disseziona la materia per carpirne i più intimi segreti. E alla fine le nostre paure si mostrano a noi, quasi rassicuranti.
È chiaro, dalla maestria con cui li tratta, che l’autore ha frequentato a lungo questi incubi, e forse proprio questa sua analisi serve, a lui come a noi, per affrontarli e giocare con loro, modulandoli quasi a comando.
Il procedere scientifico è reso ancora più evidente dal ritmo, altra costante dei racconti di Poe. Ritmo che nei racconti più riusciti viene reso esplicito anche fisicamente, come in Il pozzo e il pendolo, Il cuore rivelatore o Il crollo della casa Usher. Un ritmo musicale che scandisce la narrazione, quasi a imprimerle un moto perpetuo, che prosegue in noi anche quando la narrazione è finita.
Lascia un commento