DRM
Leggiamo da Wikipedia:
Con Digital rights management (DRM) si fa riferimento a tecnologie per il controllo dell’accesso usate da editori e altri detentori di diritti di copia per limitare l’uso di supporti o apparecchiature digitali.
Come sappiamo la digitalizzazione di contenuti, testi, musica o immagini, permette oggi la riproduzione e la distribuzione di qualsiasi opera a costi virtualmente nulli, senza che la qualità della copia subisca importanti degradazioni, come invece avveniva una volta con i nastri magnetici. Questo, da un lato ha aperto all’industria dei media canali commerciali una volta impensabili, ma dall’altro ha reso questo bene facilmente riproducibile da chiunque. Per impedire che l’esclusiva della distribuzione di tali opere sfuggisse loro di mano, i distributori hanno adottato differenti tecniche attraverso le quali i file vengono codificati e criptati in modo da:
- renderne difficile la diffusione;
- limitare l’utilizzo (nel tempo o nella destinazione d’uso);
L’accesso ai contenuti da parte degli utenti finali avviene secondo procedure di profilazione e autenticazione che permettono di distribuire i file richiesti nelle modalità previste dalla licenza sottoscritta dall’utente. Porto qui, ad esempio, due tra le tecniche di protezione più conosciute:
- Content Scrambling System
- conosciuto con il suo acronimo, CSS, ideato per i film in DVD. Tale sistema prevede la criptazione dei supporti con una chiave segreta rilasciata ai produttori di hardware e dei software di lettura, a patto però che siano disposti ad accettare specifiche condizioni di licenza (e pagare una quota). Quindi i DVD video, con questa particolare tecnologia, non potranno essere masterizzati e/o copiati, a meno che non si disponga di programmi di decodifica (come “Any DVD” o “DVD Region+CSS Free”), che ovviamente sono illegali in molti Stati.
- Watermarking
- è una tecnica più recente che mira ad inserire, in un flusso analogico o digitale, delle informazioni di identificazione. A seconda della specifica implementazione il watermarking può essere ben visibile, come il logo di una emittente televisiva, o nascosto, e può identificare il prodotto, l’autore o la singola copia. In questo modo, ad esempio, è possibile limitare l’utilizzo di una singola copia da parte di determinati lettori o addirittura consentire la riproduzione su uno solo, e virtualmente identificare l’acquirente di tale copia, anche se le attuali normative sulla privacy non lo permettono.
Cosa significa l’adozione di queste tecnologie nella vita di tutti i giorni? Recentemente Universal ha iniziato la distribuzione gratuita di musica, al prezzo di qualche spot pubblicitario, su SpiralFrog.com, ma l’iniziativa non sembra aver avuto molto successo a causa dei “lucchetti” digitali imposti sui brani. Se l’utente non effettua il login al sito almeno una volta al mese i brani scaricati in locale risultano inutilizzabili, non è possibile masterizzarli su CD e si possono trasferire su un massimo di due lettori multimediali, ma non sull’Ipod di Apple.
Oggi può capitarvi di andare in vacanza e scoprire che il DVD che avete regolarmente acquistato non funziona perchè vi trovate troppo lontani dal luogo di vendita, oppure che il media player di ultima generazione appena acquistato si rifiuti di riprodurre il DVD che avete faticosamente messo assieme con le immagini di famiglia. Oppure potreste scoprire che la musica che avete acquistato su CD non può essere trasferita sul vostro lettore MP3, e viceversa, o che, se il supporto sul quale il vostro e-book è registrato, per qualche motivo, diventasse illeggibile, dovreste acquistarne un’altro perchè non vi è concessa alcuna copia di backup.
Ma vi può capitare di peggio. Nel 2005 un esperto di sicurezza dei computer scoprì per caso che alcuni CD musicali della Sony, quando venivano riprodotti su computer, installavano all’insaputa dell’utente un cosiddetto rootkit. La cosa fece molto scalpore perchè questa tecnica anticopia, giudicata abbastanza rozza, comprometteva la sicurezza del sistema operativo e permetteva l’accesso a virus non rilevabili da alcun antivirus esistente. Sony fu costretta a ritirare questi CD e a risarcire gli utenti. La pulizia dei sistemi compromessi fu invece cosa più complicata, e diversi musicisti, le cui opere furono distribuite con questa “sorpresa” protestarono nel timore che le loro musiche venissero associate a questo incidente.
La zappa
Le tecniche DRM, usate dall’industria dei media come una metaforica zappa per dissodare quello che ritengono un orto di loro esclusiva proprietà, cioè la distribuzione delle opere d’ingegno, colpiscono indiscriminatamente sia gli onesti che i disonesti. Molti dicono anzi che i danni maggiori li subiscano proprio quelli che stanno alle regole, in quanto, oltre a subire i disagi dovuti alle restrizioni, devono pure pagare il salato conto dei costi di sviluppo di questi metodi.
Chi pensate infatti che paghi tutta questa profusione di tecnologie all’avanguardia? La risposta è scontata, ed una prova evidente è stata fornita da Peter Gutmann, esperto di sicurezza informatica di fama internazionale, nel suo “Analisi dei costi della protezione dei contenuti di Windows Vista”. Scrive infatti Guttman che, per poter proteggere quelli che vengono chiamati “premium content”, Microsoft ha cercato di trasformare il Personal Computer, che storicamente ha un’architettura aperta, in un jukebox audio/video sigillato. Questo ha generato costi aggiuntivi in termini di performance richieste, stabilità, assitenza oltre a costi diretti su hardware e software. Questi effetti ricadono su tutta l’industria dei PC, e non solo su chi acquista o in qualche modo utilizza Windows Vista.
Ad esempio, per impedire la manomissione delle comunicazioni interne al sistema, tutte queste devono essere criptate e/o autenticate [in un modo] molto simile al protocollo usato in SSL o SSH. Trovare SSL utilizzato all’interno di un PC, da un modulo software ad un altro, è semplicemente bizzarro. Non c’è bisogno di dire che questo utilizzo della CPU estremamente intensivo è una via molto dispendiosa di proteggere i contenuti. Significa che, anche se nel sistema non succede niente, una quantità di driver assortiti deve svegliarsi trenta volte al secondo solo per garantire che continui a non succedere niente.
L’alternativa è l’integrazione dei componenti in un’unico congegno senza bus esposti. Le schede grafiche integrate, però, creano un problema aggiuntivo, in quanto blocchi di preziosi contenuti sono conservati in memoria, e possono finire nella memoria virtuale sul disco fisso. Per impedire questo – Vista – segna questi blocchi con speciali bit di protezione indicanti che essi devono essere criptati prima di essere scritti su disco, e decriptati quando vengono letti. Vista non prevede nessun’altro sistema di criptazione della memoria virtuale, e quindi scriverà con piacere su disco in chiaro i codici PIN delle nostre carte di credito, dei numeri di conto bancario, dei nostri dati personali e di ogni altra informazione sensibile. Le specifiche per la protezione dei contenuti mostrano chiaramente come, agli occhi di Microsoft, un solo fotogramma di premium content valga di più che, ad esempio, la nostra cartella clinica o i nostri dati bancari. Per rendere più chiaro que
sto punto, il livello di sicurezza che Windows Vista cerca di ottenere per la protezione di video e audio è più complesso di ogni cosa che il governo degli Stati Uniti abbia mai considerato necessario per proteggere i suoi dati più segreti.
Per rendere più difficile l’accesso ai dati da parte di intrusi sono ammessi solo certi layout delle schede elettroniche. Probailmente per la prima volta le regole di progettazione dei computer sono dettate non da necessità fisiche o da problemi di dispersione termica, ma dai voleri dell’industria dei media. Oltre ai mal di testa provocati ai costruttori di hardware, questo impone anche costi aggiuntivi per progettare schede in modo non ottimale.
Oltre al danno la beffa, considerate a cosa sarebbe potuto servire questo enorme, ma in ultima analisi inutile, sforzo. Cosa [sarebbe stato] se la tecnologia per la protezione dei contenuti fosse stata applicata alla protezione dal malware. Invece di un dominio separato per la protezione dei films, potremo avere un dominio separato per la protezione dei nostri dati personali. Invece di speciali tecniche anti-debugging per impedire agli utenti di avere anche un singolo fotogramma di contenuto protetto, potremo avere queste stesse tecnologie usate per combattere l’intrusione nei nostri PC.
Il peggio di tutto questo è che non c’è via d’uscita. I fabbricanti di hardware dovranno bere il Kool-aid (e il riferimento al suicidio di massa qui è deliberato) per poter lavorare con Vista. Non c’è alcun obbligo di firmare la licenza di protezione dei contenuti; ma senza quel certificato nessun premium content verrà inviato al driver. E per l’utente non c’è semplicemente alternativa. Sia che tu usi Windows Vista, Windows XP, Windows 95, Linux, FreeBSD, OS X, Solaris o ogni altro sistema operativo, la protezione dei contenuti di Windows renderà il tuo hardware più costoso e meno affidabile; sarà più difficile fare programmi, il supporto sarà più complesso, il sistema sarà più vulnerabile a codici ostili ed avrà maggiori problemi di compatibilità.
Quando i DRM non bastano più la guerra, perchè di guerra si tratta nell’immaginario di questi industriali, prosegue con altri mezzi.
- Dal 2003 a oggi più di ventimila appassionati di musica sono stati denunciati dal RIAA negli Stati Uniti per aver scaricato brani da internet illegalmente. Quest’anno la signora Jammie Thomas è stata condannata per la condivisione di ben brani musicali, e dovrà pagare 220mila dollari di multa.
- In Inghilterra la Performing Rights Society, un gruppo che raccoglie le royalties per conto di editori, musicisti e compositori, ha accusato la catena di officine Kwik-Fit di violazione del copyright perchè la musica diffusa dalle radio dei meccanici poteva essere ascoltata dai clienti. La PRS ha richiesto 300.000 euro per chiudere la causa.
- Quest’anno è stato trafugato e reso disponibile su internet l’archivio di e-mails di un dirigente di MediaDefender, il braccio destro delle Major nella lotta informatica al P2P. Le mail contenute provano che questa azienda aveva pagato cracker mercenari per lanciare attacchi tipo denial of service, cracking e spamming a livelli massivi e mettere in difficoltà i server che servono le reti P2P. Tutte azioni illegali, ed infatti non è parso vero alla crew di PirateBay di poter denunciare un lunga lista di Industrie dei media.
I piedi
Il 2 ottobre di quest’anno Philippe Daumann, amministratore delegato di Viacom, tra le più importanti industrie dell’intrattenimento, spiegò ad una platea di businessman che:
L’adozione più ampia di protezione dalla copia e sistemi di filtering come il watermarking potranno portarci in un periodo di crescita creativa senza precedenti in tutto il mondo.
Questa politica di repressione ha dato i risultati sperati? L’evidenza dice il contrario. Prendiamo ad esempio il caso dell’industria della musica, la quale sta conoscendo una crisi senza precedenti.
A maggio di quest’anno la rivista Rolling Stone pubblicò un articolo che dipingeva un ben fosco futuro per il settore. Secondo Peter Paterno, rapresentante dei Metallica e Dr Dre: “le case discografiche hanno capitali fantastici, ma non riescono a ricavare alcun soldo da questi.” Le case discografiche hanno licenziato più di cinquemila persone dal 2000 al 2006, e il numero delle grosse etichette è sceso da cinque a quattro dopo la fusione del 2004 tra Sony Entertainment e BMG Entertainment.
Ma chi ha ucciso l’industria discografica così come noi la conosciamo? Secondo Simon Wright, direttore generale della Virgin Entertainment Group, che gestisce i Virgin Megastores: “Le case discografiche hanno creato questa situazione con le loro mani”. Ora un numero maggiore di dirigenti discografici sembra capire che i problemi sono strutturali, e recentemente le major hanno intrapreso mosse che solo pochi anni fa sarebbero state impensabili: a maggio di quest’anno la EMI autorizzò la vendita dei brani del suo catalogo liberi da DRM presso gli iTunes Music Store, a giugno la Warner annunciò un accordo con il sito internet Lala.com, che permette agli utenti di ascoltare gratuitamente gran parte del suo catalogo, nella speranza che poi questi paghino per scaricare i brani, mentre a settembre EMI e Universal hanno aperto dei canali di distribuzione di musica senza restrizioni della copia attraverso grandi catene commerciali come Amazon, RealNetworws, BestBuy e WalMart.
Molti nell’industria discografica vedono gli ultimi sette anni come una serie di opportunità mancate. E tra le più grosse, dicono, ci fu il fallimento delle etichette nell’indirizzare la pirateria online, quando ancora era ai suoi inizi, facendo pace con il primo servizio di file-sharing, Napster. Dice Jeff Kwatinetz, direttore generale della Firm “Spesero miliardi di dollari per fare causa a Napster, e quello fu il momento in cui le etichette si suicidarono. Il mercato discografico ebbe un’incredibile opportunità allora. Stavano tutti usando lo stesso servizio. Era come se stessero ascoltando tutti la stessa radio. Poi Napster chiuse, e quei trenta o quaranta milioni di persone se ne andarono da altri [servizi di file-sharing]”
Avrebbe potuto essere diverso. Nell’incontro del quindici luglio duemila, organizzato nella Sun Valley in Idaho, alcuni manager, tra cui il direttore della Universal, Edgar Bronfman Jr., il capo della Sony Nobuyuki Idei e il capo della Bertelsmann, Thomas Middelhof, dissero a Hank Barry, allora direttore di Napster, che volevano chiudere un accordo di licenza. Barry ricorda che il signor Idei iniziando il meeting, discusse di come Napster fosse qualcosa che i consumatori volevano. Ma in ultimo, nonostante un’offerta pubblica di Napster da un miliardo di dollari, le parti non raggiunsero un’accordo. “Le case discografiche dovevano fare il salto, ma non ne ebbero il coraggio.” dice Hilary Rosen, che era allora direttore generale della Recording Industry Association of America. “Quello fu il momento in cui perdemmo gli utenti, il Peer-to-peer prese quota. Fino ad allora la musica aveva un valore reale nella mente della gente, ma da quel periodo non ebbe più valore economico, solo emotivo.”
Nonostante i rovesci dell’industria, la gente non ha mai ascoltato tanta musica come oggi. I consumatori hanno acquistato più di cento milioni di Ipod dalla sua uscita nel novembre duemilauno, e il mercato dei concerti è florido, con un guadagno di 437 miliardi di dollari l’anno scorso. E secondo la società di ricerche NPD Group, l’ascolto di brani musicali è in continuo aumento dal duemiladue. Il problema del mercato attuale è come trasformare questo interesse in soldi. “Come è possibile che i produttori di musica stiano fallendo, mentre l’utilizzo del prodotto è alle stelle?” domanda Kwatinetz della Firm. “È il modello a essere sbagliato.”
Ben se ne sono accorti molti musicisti, che si mostrano oggi insofferenti verso pratiche vessatorie che allontanano sempre più appassionati dalla loro musica. I Radiohead, il gruppo britannico, che viaggia senza contratto sin dalla pubblicazione del disco precedente, ha deciso di scavalcare la tradizionale catena di distribuzione e di mettere in vendita direttamente online il proprio lavoro, e di permettere al cliente la scelta del prezzo per l’album scaricato da internet. Ed è di questi giorni la notizia che i Nine Inch Nails, un’altra band fenomeno americana, ha deciso di seguire le orme dei loro colleghi inglesi e liberarsi dai contratti di registrazione con qualsiasi etichetta promuovendo d’ora in poi la propria musica esattamente alla stessa maniera decisa dai colleghi inglesi.
Ed una voce autorevole si è levata anche dall’interno della stessa industria dei contenuti: Ian Rogers, general manager di Yahoo Music, ha dichiarato durante una conferenza su pirateria e protezioni a margine del Digital Music Forum West di Los Angeles, che il motore di ricerca non finanzierà oltre lo sviluppo del DRM. Pare abbia dichiarato a muso duro:
Non ne possiamo più di assistere agli sperperi di chi insiste nel goffo tentativo di controllare i nostri utenti invece di creare efficienti servizi a loro vantaggio. La vita è breve e io desidero che i consumatori siano contenti invece di spremergli altri soldi e non permetterò che Yahoo! spenda ancora un centesimo per creargli ulteriori ostacoli.